Il trambusto del Mercato Franco era quasi assordante, un balsamo sgradito dopo la notte tesa che Arkanum si era appena lasciata alle spalle. Avevo allestito il mio banco, “Il Taglio Onesto di Kaelen”, sotto un tendone color ocra sbiadito, sperando che l’odore invitante delle mie salsicce alla griglia sovrastasse l’acido tanfo della paura che ancora aleggiava nell’aria. La gente comprava, certo – la vita doveva pur andare avanti – ma lo faceva con gli occhi guardinghi e le conversazioni smozzicate.
La prigione. Era quello l’argomento che serpeggiava tra le bancarelle come un rigagnolo sporco. Non una semplice fuga, ma un’evasione di massa. Un pandemonio. Le guardie, più numerose del solito e con le rune sulle armature che pulsavano di un bagliore quasi ansioso, parlavano di un giovane piromane, un certo Kano, come il principale responsabile. Un capro espiatorio conveniente, forse, per coprire quanto fosse stato facile violare le mura più sicure della città. Ma le storie più strane, quelle sussurrate a mezza bocca, parlavano di magie incomprensibili, di guardie immobilizzate senza un graffio, di echi di parole pronunciate in lingue morte.
«Dicono che quel ragazzino, Kano, avesse degli aiutanti potenti,» mi confidò Myra, la venditrice di frutta accanto, mentre lucidava una mela soleluna. «Maghi, forse? Nessuno li ha visti bene, ma come altro spieghi una cosa del genere? Una prigione come quella non si apre da sola.»
Annuii, concentrandomi sul mio lavoro. La mannaia colpiva il ceppo con un suono sordo e familiare. Tonf. Tonf. Tonf. L’unica cosa certa in una città che sembrava aver perso le sue certezze durante la notte. Chiunque fosse responsabile, ora era là fuori. E questo bastava a tenere tutti sul chi vive.
«Dovrebbero aumentare le ronde,» borbottò un cliente mentre pagava un arrosto. «Con tutti quei criminali a piede libero… e chissà cos’altro… non ci si sente sicuri.»
Non potevo dargli torto. La magia era parte di Arkanum come la pietra delle sue torri, ma c’era magia e magia. Quella che aveva aperto la prigione sembrava diversa, aliena.
Fu in quel momento, mentre incartavo l’arrosto, che la mia attenzione fu catturata da un trio che si muoveva attraverso la folla. Non erano del posto, era evidente. Si distinguevano non per sfarzo, ma per una sorta di… concentrazione. Come se stessero attraversando il mercato, non partecipandovi.
Il primo che notai fu un uomo imponente, la cui pelle aveva una strana sfumatura bluastra e i capelli erano argento come il filo più puro. Si muoveva con una grazia studiata, la mano vicina all’elsa di una spada sottile che sembrava più un pezzo da cerimonia che un’arma vera. Accanto a lui, un colosso dalla pelliccia bianca come la neve dei Monti Krovart, fasciato in un’armatura spartana che sembrava cozzare con l’ambiente festoso del mercato; avanzava con passo pesante, gli occhi ambrati che scrutavano ogni cosa con severità. E leggermente davanti, quasi a guidarli, una figura le cui scaglie dorate brillavano come un tesoro sotto il sole. Un dragonborn. Le sue mani erano fasciate, come quelle di un lottatore di strada, ma il portamento era eretto, vigile, ogni muscolo teso come una corda di balestra.
Strani compagni, pensai. Avventurieri, sicuramente. Qui per il torneo di cui tutti parlano. Era l’unica spiegazione logica per un gruppo così eterogeneo e chiaramente preparato al combattimento.
Proprio mentre passavano davanti al mio banco, forse rallentati per un istante dalla calca, lo sguardo del dragonborn incrociò il mio. I suoi occhi, fessure verticali di oro fuso, non erano ostili, ma erano intensi, penetranti. Fu uno sguardo che non chiedeva, valutava. Come se stesse misurando il peso della mia carne, la solidità delle mie ossa, non per comprarle, ma per capire cosa ci fosse dietro. Sentii un brivido involontario corrermi lungo la schiena, la stessa sensazione che provavo quando maneggiavo un coltello particolarmente affilato e bilanciato – un misto di rispetto e consapevolezza del pericolo.
Distolse lo sguardo quasi subito, tornando a concentrarsi sulla folla davanti a sé, ma l’impressione rimase. Quel gruppo emanava una sorta di energia compressa, come una tempesta trattenuta a stento. Non sapevo chi fossero, né cosa volessero veramente ad Arkanum. Ma mentre li guardavo allontanarsi, una figura blu, una bianca e una dorata che fendevano la folla come una lama, ebbi la netta sensazione che le stranezze di quella notte fossero solo l’inizio. C’era qualcosa di nuovo nell’aria, qualcosa di potente e imprevedibile, e avevo appena visto una delle sue manifestazioni camminare in mezzo a noi.