Dal punto di vista di: Kaelen, Sergente della Guardia Reale di Re Regis Sol Venitas. Notte del 5 Lyestus, 521 AE.


Il fumo acre della battaglia mi bruciava gli occhi e la gola. Ogni respiro era polvere, cenere e il sapore metallico del sangue – il mio, quello dei miei compagni, quello dei traditori. Sol-Rom era un inferno. Non un inferno metaforico, no. C’erano cose nelle strade che non avrebbero dovuto esistere. Ombre guizzanti con troppi artigli, sussurri nell’aria che promettevano potere in cambio di… non volevo nemmeno pensarci. Era questo che difendevamo? Il caos scatenato dal Re nel suo disperato tentativo di… cosa? Resistere a questi ribelli?

Il mio scudo ammaccato parò a malapena un fendente selvaggio da parte di un disertore della milizia cittadina. Lo spinsi via con un grugnito, affondando la mia spada corta nel suo fianco non protetto. Cadde senza un lamento, un altro volto sconosciuto nel massacro. Mantieni la posizione, Kaelen. Difendi il giuramento. Difendi la linea di El-Shaddai.

Ma la linea si stava spezzando. Sentimmo un boato disumano più avanti, seguito da urla di terrore puro. Vidi due dei miei uomini volare in aria come bambole di pezza, le loro armature contorte. Poi, emerse dalla polvere e dal fumo, arrivò lui.

Hurk. Lo riconobbi subito. Chi non lo conosceva? Il campione dell’Arena di Alben Sol, l’orco che combatteva come una tempesta incarnata. Ma cosa ci faceva qui, con i ribelli? La sua pelle verde era tesa su muscoli nodosi che sembravano rocce, il volto una maschera di furia concentrata. E brandiva… l’Ascia.

Era enorme, una bipenne che nessun uomo normale avrebbe potuto sollevare, figuriamoci maneggiare con quella velocità terrificante. Ma non era solo la dimensione. Era l’ascia stessa. Forgiata in uno stile inconfondibilmente nanico, ricoperta di rune che brillavano debolmente di una luce blu fredda nell’aria carica di magia oscura. E incastonata dove le due lame si incontravano, c’era una testa scolpita. Una testa di re nano barbuto, con occhi di pietra che sembravano fissarti con antico giudizio. Un’arma nanica leggendaria… nelle mani di un orco ribelle? Non aveva senso. Niente ne aveva più.

“Per il Re!” gridai, più per convincere me stesso che per spronare i pochi uomini rimasti al mio fianco. Caricammo.

Lo scontro fu brutale, primitivo. Hurk non combatteva come un soldato, combatteva come una forza della natura. La sua ascia danzava, un mulinello di morte scintillante. Ogni colpo atterrava con una forza devastante. Vidi lo scudo di Joric, fatto di buon acciaio solastrano, esplodere in schegge. Sentii il crack delle ossa di Lenyu prima ancora che cadesse.

Poi accadde. L’ascia di Hurk si abbatté sulla mia parata disperata. La mia spada vibrò fino quasi a sfuggirmi di mano, ma tenni duro. L’impatto mi fece arretrare, i piedi che slittavano sulla polvere e sul sangue. E per un istante, dietro l’orco massiccio, apparve.

Un nano. Ma non era reale. Era traslucido, spettrale, una figura barbuta in armatura antica che sembrava fatta di fumo e luce lunare. Apparve per un battito di ciglia, un’eco silenziosa dell’orco, la sua forma fantasma che mimava il fendente dell’ascia, prima di svanire.

Cos’era stato? Un’allucinazione? Il fumo? La paura?

Ma poi Hurk colpì di nuovo, mancando di poco la mia testa mentre mi gettavo di lato. La sua ascia morse profondamente il selciato, mandando scintille. E di nuovo, dietro di lui, il nano fantasma. Questa volta lo vidi più chiaramente: un’espressione di antica furia sul suo volto spettrale, la barba intrecciata, un elmo cornuto. Svanì ancora, ma il freddo che mi lasciò addosso non era solo quello della paura.

“Cosa sei?” riuscii a balbettare, cercando di riprendere fiato.

Hurk non rispose a parole. Rispose con un ruggito che sapeva di roccia smossa e tuono lontano, e caricò di nuovo. Altri due dei miei uomini caddero, le loro vite spezzate dall’ascia runica. Il fantasma nanico appariva ad ogni impatto, un compagno silenzioso e terrificante.

Guardai verso il cielo. La luce viola dal palazzo continuava a pulsare, malata, innaturale, diretta verso la luna Ketys. Vidi le crepe sulla sua superficie, una ragnatela oscura che si allargava. Il Re stava cercando di liberare Regeran. Il nostro Re. Il discendente di El-Shaddai stava per scatenare l’antico male. E io stavo combattendo per lui. Contro un orco che brandiva un’ascia nanica benedetta (o maledetta?) da spiriti ancestrali.

Il dubbio divenne una morsa gelida attorno al mio cuore. Per cosa stavo combattendo? Per quale onore? Per quale Re? Il giuramento che avevo prestato sembrava ora cenere nella mia bocca.

Fu quella frazione di secondo di esitazione, di orrore esistenziale, a costarmi tutto. L’ascia di Hurk arrivò, non mirata alla mia spada o al mio scudo, ma direttamente al mio petto. Sentii il metallo urlare mentre le rune naniche incontravano la mia corazza reale. Sentii il crack delle costole, il calore improvviso e lancinante mentre la lama si faceva strada.

Caddi all’indietro, il cielo viola che ruotava sopra di me. L’ultima cosa che vidi fu il volto furioso di Hurk, e dietro di lui, per un’ultima volta, il fantasma del re nano, la cui espressione non era di trionfo, ma di profonda, antica tristezza.

Ho difeso il giuramento, pensai mentre il mondo svaniva nel rosso. Ma… ho difeso la cosa giusta?

La polvere si posò su di me, e non ci fu risposta.