LE CONSEGUENZE DI ARKANUM
PARTE I: IL RISVEGLIO
Nella tiepida luce dell’alba, Arkanum si risvegliava lentamente dalle cicatrici della notte precedente. Le guardie cittadine, con le divise blu e argento ormai sporche e segnate, pattugliavano le strade con una risolutezza accresciuta, tentando di restaurare un ordine che sembrava essersi dissolto come nebbia al sole. Nell’aria persisteva una tensione palpabile, una promessa silenziosa di pericolo che ancora si celava nelle ombre allungate dei vicoli.
All’interno del modesto ma accogliente Bed & Breakfast di Thordek, la vita riprendeva con un ritmo più lento. La locanda, un edificio a due piani costruito con solido legno di quercia e pietra grigia, offriva un rifugio sicuro dal caos esterno.
Asterion aprì gli occhi, il suo viso serio mentre una mano si spostava automaticamente sulla cicatrice fresca che segnava il suo petto. La ferita, conseguenza dello scontro con il nano dalla particolare anatomia durante l’evasione dalla prigione, era ora solo un segno rosso in via di guarigione grazie alle pozioni curative, ma il dolore fantasma persisteva. Non c’era rimpianto nei suoi occhi viola, solo la quieta accettazione di un guerriero che sa di aver compiuto scelte difficili.
Con movimenti fluidi, il mezzelfo si alzò dal letto, i lunghi capelli argentei che ricadevano disordinati sulle spalle. Attraverso la piccola finestra della sua stanza, osservò la città che si risvegliava. Le immagini della notte precedente danzavano nella sua mente come ombre sfuggenti: Zarion e il suo braccio viola, la bocca sulla mano che pronunciava parole incomprensibili, Katia ridotta a una bambola senza volontà…
Nell’altra stanza, Geeno era già sveglio da ore. Seduto sul bordo del suo letto spartano, il leonin dal pelo bianco come neve fissava la luce dorata che filtrava attraverso le tende sottili. La sua armatura in stile spartano era appoggiata con cura su un supporto nell’angolo, la lancia sacra adagiata in posizione orizzontale su due ganci alla parete. Nella sua mente turbinavano domande senza risposta, teorie inquietanti su Putin e sui suoi sette aspetti. E c’era determinazione nei suoi occhi ambrati, quella ferrea volontà di trovare la verità, non importa quanto potesse essere dolorosa.
Ikaris, invece, dormiva ancora. Sotto le coperte, il dragonborn dorato respirava con lentezza, il sonno apparentemente tranquillo di chi ha affrontato la notte con coraggio. Ma anche nel riposo c’era un’inquietudine latente; una tensione nei muscoli squamosi, come se fosse pronto a svegliarsi in un istante. Il suo volto era segnato da un’espressione corrucciata, e chi lo conosceva bene avrebbe riconosciuto i segni della preoccupazione: pensava a Jiro, il suo allievo che se n’era andato, e a Mae, l’unica rimasta tra gli studenti del Cobra Kai. Un fallimento che pesava sulla sua coscienza come un macigno.
La mattina avanzava lentamente, e le strade di Arkanum riprendevano vita. I suoni della città filtravano attraverso le finestre della locanda: l’eco lontana di ordini gridati dalle guardie, il rumore di passi pesanti di pattuglie in movimento, l’agitazione sottile dei cittadini che cercavano di capire cosa fosse accaduto nella notte. Tutti questi suoni raccontavano la storia di una città ferita che cercava disperatamente di guarire.
PARTE II: NUOVE DIREZIONI
La sala da pranzo del Bed & Breakfast era avvolta nel calore e nei profumi invitanti della colazione. Pane appena sfornato, salsicce che sfrigolavano sul fuoco, e l’aroma ricco del caffè nero si mescolavano nell’aria, creando un’atmosfera di conforto domestico che contrastava nettamente con il caos che regnava all’esterno.
Thordek, il proprietario nano dalla barba intrecciata con nastri blu e argento, era intento a servire la colazione quando Geeno scese per primo. Il leonin si sedette a un tavolo d’angolo, lo sguardo ancora perso nei suoi pensieri.
«Buongiorno, amico mio,» lo salutò Thordek, posando davanti a lui un piatto colmo di uova, salsicce e pane. «Sembri preoccupato. La notte non è stata clemente con i tuoi sogni?»
Geeno alzò lo sguardo, un lieve sorriso che ammorbidiva il suo volto felino. «I sogni sono l’ultimo dei miei problemi, Thordek. È la realtà che mi preoccupa.»
Mentre Geeno iniziava a mangiare, Asterion fece il suo ingresso nella sala. Il mezzelfo si mosse con la sua consueta grazia, nonostante la ferita, e si sedette di fronte a Geeno.
«Abbiamo bisogno di parlare,» disse senza preamboli. «Di quanto è accaduto ieri notte, e di cosa faremo ora.»
Thordek, percependo il bisogno di privacy, si limitò a servire una colazione anche ad Asterion prima di ritirarsi discretamente. Ma prima che i due potessero iniziare la loro conversazione, un rumore di passi pesanti annunciò l’arrivo di Ikaris, seguito dall’ingresso di una figura familiare: Eustach, il fratello di Thordek.
Eustach era un nano dal volto aperto e cordiale, con una barba più corta di quella del fratello e occhi che brillavano di arguzia commerciale. «Buongiorno a tutti!» esclamò con una risata fragorosa. «Che bella giornata per essere vivi, non trovate?»
Si unì a loro al tavolo senza attendere invito, mentre Thordek tornava con altre porzioni di cibo. «Geeno, Ikaris,» iniziò il proprietario della locanda, «sono successe molte cose in questi giorni. Come sta andando la raccolta dei gettoni per il torneo? Potete aggiornarmi?»
Prima che potessero rispondere, la porta della sala da pranzo si aprì con un cigolio. Una figura imponente varcò la soglia: un uomo in armatura lucida, con le insegne ufficiali della guardia cittadina di Arkanum. Il suo volto era segnato da anni di servizio, ma i suoi occhi erano vigili e intelligenti.
«Gentiluomini,» esordì la guardia, il tono grave e pieno d’autorità. «Mi sono giunte notizie di un certo… disordine nel cimitero di Arkanum tre giorni fa. Siete coinvolti in qualche modo, giusto? Mi potete fare un resoconto su quanto sapete dell’ufficiale Orin?»
L’atmosfera nella sala si fece improvvisamente tesa. Thordek posò la sua pinta di birra sulla tavola con un tonfo sordo, chiaramente irritato dall’interruzione della colazione. Tutti gli sguardi convergevano sulla figura imponente della guardia, mentre ciascun membro della Compagnia del Fardello calcolava rapidamente la risposta migliore.
Fu Ikaris a prendere l’iniziativa, alzandosi con movimenti fluidi e misurati. Le sue scaglie dorate catturarono la luce del mattino mentre si avvicinava alla guardia con espressione seria ma aperta.
«Buongiorno, agente,» disse con la sua caratteristica voce profonda. «Sono Ikaris, sensei del dojo Cobra Kai. Scusi il disturbo, ma mi è giunta voce che nella notte avete arrestato un giovane di nome Kano. A quanto ho capito, ha tentato invano di incendiare la porta della prigione.»
La guardia sollevò un sopracciglio, momentaneamente disorientata dal cambio di argomento. Ikaris ne approfittò per continuare, tessendo una storia elaborata su come Kano fosse un suo nuovo allievo, trovato per strada, privo di genitori, povero e affamato. Parlò del Cobra Kai come di una scuola che insegnava disciplina, rispetto della legge e dell’autorità, dipingendosi come un mentore impegnato a “ripulire questa città dall’ignoranza e dalla maleducazione”.
«Permetta che le presenti la mia pupilla, Mae,» disse, indicando una giovane umana con uno sguardo perennemente assente che non avevano notato entrare nella stanza. «Come vede, è una giovane indifesa, un po’ ingenua. Ieri sera, appena abbiamo sentito dell’arresto di Kano, abbiamo pianto per lui e siamo andati sul monte a meditare sul bene e sul male.»
Il discorso di Ikaris proseguì, chiedendo alla guardia di non ufficializzare l’arresto di Kano o, se già fatto, di poterglielo affidare in prova. Prometteva di assumersi la piena responsabilità legale del giovane, impegnandosi a trasformarlo in un cittadino onesto e laborioso.
La guardia ascoltò con attenzione, il volto che tradiva un misto di scetticismo e rispetto per lo sforzo oratorio. Quando Ikaris concluse, ci fu un momento di silenzio, poi l’uomo rispose con tono deciso ma non ostile.
«Sensei Ikaris, apprezzo la tua compassione e il tuo senso di responsabilità,» iniziò. «Capisco la tua intenzione di aiutare il giovane Kano e l’apprezzo. Ma tu devi capire che io sono solo una guardia. Non sono un ufficiale giudiziario. Non ho il potere di decidere del futuro di Kano.»
Fece una pausa, sostenendo lo sguardo di Ikaris. «Ti consiglierei di rivolgerti all’ufficio del magistrato e presentare la tua proposta. Sono loro che decidono in questi casi.»
Poi, con un cenno di testa verso il resto del gruppo, aggiunse: «Adesso, però, dobbiamo parlare di quello che è successo al cimitero di Arkanum e all’ufficiale Orin. Siete a conoscenza di qualcosa?»
PARTE III: PERCORSI DIVERGENTI
Il silenzio calò pesante sulla sala dopo la domanda diretta della guardia. Fu Ikaris a prendere una decisione rapida.
«Mi scusi, agente,» disse con tono rispettoso ma fermo. «Riconosco l’importanza della sua indagine, ma devo occuparmi immediatamente della questione di Kano. È un giovane vulnerabile, e ogni ora che passa in cella rischia di spingerlo ulteriormente verso un cammino oscuro.»
Senza attendere risposta, Ikaris si voltò verso Mae. «Vieni con me, pupilla. Andiamo a salvare il tuo amico.»
Con un cenno agli altri due membri della Compagnia del Fardello, Ikaris uscì dalla locanda, lasciandosi alle spalle la guardia perplessa e i suoi compagni in una situazione delicata.
L’aria mattutina lo accolse, fresca e pulita, pervasa dall’odore del pane appena sfornato che si mescolava con quello del fieno e del legno bagnato. Con passo deciso, il dragonborn si diresse verso l’imponente edificio del Magistrato, situato nel cuore amministrativo di Arkanum.
L’edificio si stagliava come un faro di ordine e legge in mezzo al caos della città. Costruito con pietra di granito bianco e decorato con intricate sculture che raffiguravano scene di giustizia e saggezza, esprimeva un senso di dignità e autorità. Il tetto era sormontato da una grande statua di Themis, la dea della giustizia, con gli occhi bendati e una bilancia in mano.
L’interno era ancora più imponente: pareti rivestite in legno scuro, pavimenti coperti da pesanti tappeti, e grandi librerie colme di tomi e pergamene. Al centro, dietro un lungo banco di quercia, sedeva una tiefling dalla pelle rossa, impegnata a scrivere diligentemente su un registro.
La donna alzò lo sguardo quando Ikaris si avvicinò. I suoi occhi color ambra studiarono il dragonborn con curiosità professionale mentre lui spiegava il motivo della sua visita.
«Non avete un appuntamento, vero?» chiese con un sorriso che tradiva divertimento, già conoscendo la risposta.
Quando Ikaris negò, la tiefling aprì un cassetto ed estrasse una pila di documenti. «In tal caso, dovrete compilare questi formulari. Il prossimo appuntamento disponibile è tra tre settimane.»
Mentre porgeva i documenti con un sorriso malizioso, Ikaris sentì la frustrazione montare. Tre settimane erano troppo tempo per Kano, e per gli altri problemi che la Compagnia doveva affrontare. Prese i documenti con un ringraziamento forzato e lasciò l’edificio, determinato a trovare un’altra soluzione.
Nel frattempo, alla locanda, Geeno aveva deciso di affrontare direttamente la guardia. Il leonin si fece avanti, il portamento fiero e lo sguardo determinato.
«Riguardo a Orin e agli eventi nel cimitero,» iniziò con voce ferma, «abbiamo scoperto qualcosa di inquietante.»
Con precisione militare, Geeno raccontò gli eventi salienti, tralasciando volutamente i dettagli sulla Compagnia del Fardello e sui loro obiettivi personali. Descrisse l’incontro con il misterioso Cavaliere delle Rose e lo scontro con il temibile lich Putin, enfatizzando la minaccia che quest’ultimo rappresentava.
«Quel mostro non è stato distrutto completamente, ne sono certo,» concluse, una vena di intensità nella voce. «È diviso in sette aspetti, e ne abbiamo distrutto solo uno. È ancora una minaccia, e dobbiamo trovare e annientare ciò che resta di lui.»
La guardia annuì, prendendo diligentemente appunti su un piccolo taccuino di pelle. «Faremo tutto il possibile per investigare a fondo sulla questione,» rispose. «Ma queste sono accuse serie e straordinarie. Avremo bisogno di prove tangibili.»
«Quanto a Orin,» continuò la guardia, «posso chiedervi cosa è successo esattamente? Era un ufficiale rispettato, anche se negli ultimi tempi il suo comportamento era diventato… strano.»
Asterion intervenne, la sua voce calma e misurata. «Orin era già morto quando lo abbiamo incontrato,» spiegò. «Il suo corpo era controllato dalla magia necromantica di Putin, probabilmente da settimane o mesi. Il vero Orin probabilmente è morto molto tempo fa.»
La guardia impallidì visibilmente a questa rivelazione. «Questo spiega molte cose,» mormorò, più a se stesso che agli altri. «I rapporti incoerenti, gli ordini contraddittori, la sua improvvisa preferenza per i turni di notte…»
Dopo aver raccolto ulteriori dettagli, la guardia si congedò, promettendo di riferire tutto ai suoi superiori. Ma Geeno sapeva che non poteva fidarsi solo delle autorità cittadine. Non appena la guardia uscì dalla locanda, il leonin si rivolse ad Asterion.
«Devo andare,» disse con determinazione. «Devo scoprire di più su Putin e i suoi frammenti. La biblioteca di Arkanum potrebbe avere risposte.»
Asterion annuì, comprendendo la necessità del suo compagno. «Anch’io ho riflessioni da fare,» rispose. «Ieri notte ha rivelato quanto siamo vulnerabili di fronte a certi tipi di magia. Credo che cercherò i miei vecchi maestri all’accademia. Forse possono guidarmi verso nuove conoscenze arcane.»
I due compagni si separarono con un cenno d’intesa, ciascuno diretto verso la propria destinazione, lasciando Thordek e suo fratello a interrogarsi su cosa stesse realmente accadendo in città.
PARTE IV: RICERCA DI POTERE
Asterion attraversò con passo misurato i corridoi dell’accademia di Arkanum. L’edificio, una struttura imponente di pietra bianca con torrette che si stagliavano contro il cielo come dita protese verso l’infinito, era un santuario di conoscenza. Dentro, il profumo di pergamena, inchiostro e cera si mescolava con l’odore sottile di magia – un aroma che non poteva essere descritto a chi non lo avesse mai sperimentato, un misto di ozono, spezie esotiche e possibilità infinite.
Gli anni trascorsi qui come studente gli tornarono alla mente mentre percorreva i corridoi familiari, nodosi tappeti che attutivano i suoi passi, pareti tappezzate di scaffali colmi di tomi antichi, e finestre alte che filtravano la luce del sole attraverso vetri colorati, proiettando disegni complessi sul pavimento di pietra levigata.
La battaglia nella necropoli e gli eventi nella prigione avevano scosso profondamente Asterion. La ferita del nano si stava rimarginando, ma era la consapevolezza di quanto accaduto che lo aveva cambiato. La facilità con cui Zarion aveva manipolato le menti di Katia e delle guardie, la potenza oscura dell’aspetto di Putin… avevano mostrato quanto fossero vulnerabili.
«Abbiamo bisogno di essere più forti, più preparati,» mormorò tra sé mentre si dirigeva verso la grande biblioteca dell’accademia. «I nostri nemici non mostreranno pietà e neanche noi dovremmo.»
La sua meta era chiara: trovare il sommo chierico Anastarius, suo mentore di un tempo. L’anziano maestro era noto per la sua saggezza e conoscenza di arti arcane difensive, esattamente ciò di cui Asterion aveva bisogno ora.
Dopo numerose richieste e insistenze, Asterion riuscì finalmente a ottenere un incontro con Anastarius nel suo studio privato, una stanza circolare in cima a una delle torri. L’ambiente era un rifugio di quiete studiosa: scaffali curvi seguivano la forma della stanza, stracolmi di libri; un grande tavolo di quercia occupava il centro, cosparso di mappe, pergamene e strumenti arcani; e numerose finestre offrivano una vista panoramica su Arkanum.
Anastarius stesso era l’immagine vivente del saggio: alto e sottile, con una lunga barba bianca che gli scendeva fino alla vita e occhi di un azzurro così chiaro da sembrare quasi traslucidi. Indossava semplici vesti blu, ma il tessuto sembrava catturare e riflettere la luce in modi sottilmente innaturali.
«Mio caro Asterion,» lo salutò il vecchio maestro, la voce sorprendentemente forte per un uomo della sua età. «È passato molto tempo. Cosa ti porta qui oggi?»
Con sincerità e urgenza, Asterion raccontò gli eventi recenti, descrisse Putin e la minaccia rappresentata dai suoi sette aspetti, e parlò di Zarion e del suo inquietante potere di controllo mentale. Concluse esprimendo il suo bisogno di protezione contro tali incantesimi e di conoscenze più potenti per combattere i non-morti.
Anastarius lo ascoltò con attenzione, la sua lunga barba che si muoveva leggermente ad ogni sospiro pensieroso. Quando Asterion terminò, rimase in silenzio per alcuni istanti, come se stesse soppesando ogni parola prima di pronunciarla.
«Mio caro Asterion,» disse infine, «vedo che le tue parole sono serie, come devono essere di fronte ai pericoli che stai affrontando.»
Si alzò lentamente dalla sua poltrona e si avvicinò a una mappa appesa al muro, che mostrava la baia di Arkanum e le terre circostanti.
«Ti consiglio di cercare il Monastero dell’Alba Dorata,» disse, indicando un punto sulla costa. «Là, al centro della baia di Arkanum, dei monaci esperti hanno perfezionato l’arte di creare tatuaggi magici. Questi segni incisi sulla pelle possono offrire una protezione contro gli incantesimi di charme.»
Fece una pausa, guardando Asterion negli occhi. «Devi però sapere, il potere di un tatuaggio può arrivare solo fino a un certo punto. Un incantatore di grande potere potrebbe riuscire a superare anche questa barriera.»
Anastarius si spostò verso uno scaffale, da cui estrasse un vecchio libro rilegato in pelle scura. «Per quanto riguarda il tuo desiderio di acquisire magie più potenti contro i non-morti, penso che il Consolato di Solastra potrebbe avere ciò che cerchi. Venti anni fa, nella repubblica di Solastra, hanno respinto un potente necromante da alcuni territori a sud della regione. Potrebbero avere informazioni utili per te.»
Asterion accettò il libro che Anastarius gli porgeva, sentendo il peso del sapere antico tra le mani.
«Il tuo coraggio e la tua determinazione sono ammirevoli, Asterion,» concluse il vecchio maestro con un sorriso che mostrava rughe di saggezza accumulata nel corso degli anni. «Ricorda, tuttavia, che la prudenza è la più grande alleata di un mago. Utilizza queste nuove conoscenze con saggezza.»
Con la mente piena di nuove possibilità e direzioni, Asterion lasciò la torre, diretto nuovamente verso la locanda per condividere quanto appreso con i suoi compagni.
Nel frattempo, Geeno si muoveva con determinazione tra gli scaffali polverosi della grande biblioteca pubblica di Arkanum. A differenza dell’accademia, questo era un luogo più accessibile ma meno specializzato, frequentato da studiosi cittadini e curiosi in cerca di conoscenza.
Il leonin esaminava metodicamente tomo dopo tomo, cercando qualsiasi riferimento a lich, alla divisione dell’anima o a Putin nello specifico. La sua ricerca, inizialmente frustante, divenne più mirata quando un vecchio bibliotecario dalla schiena curva gli suggerì di consultare la sezione di storia arcana.
Fu lì che Geeno trovò finalmente qualcosa di utile. Un antico volume rilegato in pelle nera, le cui pagine ingiallite erano coperte da una scrittura fitta e minuta. La luce che filtrava attraverso le alte finestre della biblioteca illuminò un paragrafo che lo fece sussultare:
“…e si narra che lo stregone Pulterius, temendo la morte, dividesse la propria essenza in sette frammenti, sigillando ciascuno in un oggetto di grande potere. Questi artefatti, che alcuni studiosi moderni chiamano ‘horcrux’, custodivano parti della sua anima, conferendogli una forma di immortalità perversa. Finché anche solo uno degli horcrux fosse rimasto intatto, Pulterius non poteva essere veramente distrutto…“
Geeno sentì un brivido percorrergli la schiena. “Pulterius” era chiaramente una variante antica del nome “Putin”, e il parallelismo con quanto detto dal Cavaliere delle Rose sulla vera natura del lich era innegabile.
«Sette horcrux… ecco qual è il segreto di Putin!» mormorò tra sé, gli occhi che brillavano di una determinazione feroce.
Con rinnovato vigore, Geeno proseguì la ricerca, concentrandosi ora sugli horcrux e su come distruggerli. La sua sete di vendetta per la distruzione di Akhene, il suo villaggio natale, ardeva più intensa che mai. Finalmente aveva trovato un indizio concreto, un primo passo verso la distruzione definitiva del mostro che aveva devastato il suo popolo.
PARTE V: LA CADUTA DI JIRO
Mentre Asterion e Geeno erano impegnati nelle loro ricerche, Ikaris vagava per le strade di Arkanum, frustrato dalla burocrazia dell’ufficio del Magistrato. La città era ancora in subbuglio dopo gli eventi della notte precedente; pattuglie di guardie marciavano con maggiore frequenza, cittadini si affrettavano a completare le loro commissioni per poi tornare al sicuro nelle loro case, e gli ex prigionieri fuggiti si nascondevano negli angoli più bui e dimenticati.
Il pensiero di Kano, imprigionato per aver tentato di aiutarli, pesava sulla coscienza di Ikaris. Ma un altro pensiero lo tormentava ancora di più: Jiro. L’halfling se n’era andato con disgusto, rifiutando di essere parte di ciò che la Compagnia del Fardello era diventata. Le sue parole – “Non posso farne parte. Non così.” – echeggiavano nella mente del dragonborn come un’accusa costante.
Senza una meta precisa, Ikaris si ritrovò a cercare il suo allievo perduto tra le strade della città. Jiro era più di un semplice studente; era il primo ad aver creduto veramente nei principi del Cobra Kai, a dimostrare che la disciplina e il rispetto potessero davvero cambiare una vita.
Dopo ore di ricerche estenuanti, quando ormai il sole aveva iniziato la sua discesa verso l’orizzonte, Ikaris avvertì un senso di urgenza inspiegabile. Seguendo un istinto che non sapeva di possedere, si diresse verso i quartieri più degradati della città.
In un vicolo sporco e dimenticato, tra cumuli di rifiuti e muri coperti di muffa, lo vide: una figura accasciata a terra, il corpo in preda a spasmi e convulsioni. Jiro giaceva lì, un bracciale emostatico stretto attorno al braccio magro e una siringa vuota abbandonata accanto a lui. La sua pelle, normalmente di un colorito sano, appariva ora pallida e madida di sudore freddo; le sue labbra avevano assunto una sfumatura bluastra inquietante.
Un’ondata di sgomento attraversò Ikaris, seguita immediatamente da una risoluzione d’acciaio. Non c’era tempo da perdere in recriminazioni o domande; doveva agire, e velocemente.
Con un movimento fluido, il dragonborn raccolse il corpo leggero dell’halfling tra le braccia e iniziò a correre. Le strade di Arkanum divennero un blur indistinto mentre Ikaris si dirigeva verso l’unico luogo che sapeva potesse offrire aiuto: l’ambulatorio del dottor Hoban, un medico halfling la cui reputazione per discrezione ed efficacia era nota in tutta la città.
L’ambulatorio era situato in un vicolo secondario, una porta bassa sormontata da un’insegna in legno con il simbolo della croce medicinale. All’interno, l’ambiente era sorprendentemente ordinato e pulito: scaffali contenenti fiale di vari colori, erbe essiccate appese in mazzi dal soffitto, e strumenti medici disposti con precisione chirurgica. Al centro della stanza, un lettino di esame attendeva il paziente.
Il dottor Hoban stesso era un halfling di mezza età, con capelli color rame e occhi verdi brillanti di intelligenza vivace. Il suo volto si corrugò in un’espressione di preoccupazione non appena vide Jiro, ma le sue mani rimasero ferme e sicure mentre esaminava rapidamente il giovane.
«Overdose di Polvere di Fata,» diagnosticò con voce grave. «È una droga nuova in città, estremamente potente e letale. I tossicodipendenti la chiamano ‘Polvere di Fata’ per le allucinazioni luminose che provoca, ma il nome ufficiale è molto più sinistro: Esalazione di Lich.»
Ikaris sussultò al nome, il collegamento con Putin improvvisamente chiaro. «Può salvarlo?» chiese, la voce tesa per l’emozione trattenuta.
Il dottore non rispose immediatamente. Si mosse invece con efficienza febbrile, preparando antidoti e pozioni, iniettando sostanze nel corpo sempre più debole di Jiro, mormorando incantesimi curativi di basso livello che facevano brillare le sue mani di una luce dorata tenue.
Dopo un’ora di sforzi intensi, Hoban si appoggiò alla sua scrivania, visibilmente esausto. «Ho fatto tutto il possibile,» disse a Ikaris. «Ora tocca a lui combattere. La Polvere di Fata non è solo una droga fisica; ha componenti arcane che attaccano l’anima stessa. Passa domani, avremo novità.»
Con il cuore pesante, Ikaris lasciò Jiro alle cure del medico. Fuori, la sera era ormai calata su Arkanum, e le prime stelle punteggiavano il cielo.
Mentre si dirigeva nuovamente verso il tribunale, determinato a fare un ultimo tentativo per Kano, Ikaris notò un movimento insolito davanti all’imponente edificio. Il magistrato stava uscendo, accompagnato da una figura impressionante: un uomo sulla quarantina, i cui lunghi capelli biondi raccolti in una coda di cavallo gli arrivavano alla vita. Indossava un’armatura pesante che brillava come rame sotto il sole al tramonto, e alla cintura portava un’arma che Ikaris non aveva mai visto prima: una custodia che conteneva tre spade, montate come il cilindro di un revolver.
Accanto a lui, un orco dai capelli bianchi raccolti in un unico dreadlock e un gnomo con capelli afro, vestito in tonalità che richiamavano i colori autunnali, completavano quel gruppo insolito e chiaramente importante.
L’istinto di Ikaris gli diceva che questa poteva essere un’opportunità. Con passo misurato ma deciso, il dragonborn avanzò verso la compagnia, la luce dorata del crepuscolo che riverberava sulle sue scaglie.
«Egregio Magistrato,» iniziò, con un tono rispettoso ma fermo. «Mi scuso per l’intrusione e riconosco che l’orario e il luogo potrebbero non essere i più opportuni. Tuttavia, la questione che mi porta qui è di importanza capitale e richiede la vostra attenzione.»
Mentre Ikaris parlava, osservò le reazioni del gruppo. L’imponente orco, dal piglio feroce, incrociò le braccia sul petto massiccio e socchiuse gli occhi in un’espressione di pacata irritazione. Senza dire una parola, si mise stranamente a fare flessioni sul posto, il suono ritmico del suo respiro che si mescolava al silenzio della piazza.
Lo gnomo, in netto contrasto, estrasse con calma una pipa argentea dalla tasca della sua giacca. La riempì con gesti esperti usando un miscuglio di erbe aromatiche, e con un fiammifero acceso diede vita a un sottile filo di fumo che si alzava nell’aria come un drago miniaturizzato.
Il terzo compagno, l’uomo dai capelli dorati, rimase in silenzio. I suoi occhi, penetranti come quelli di un falco, scrutavano Ikaris con intensità. La sua mano guantata si posò distrattamente su una delle tre spade nella strana custodia – quella decorata con motivi bianchi e blu, che sembrava in qualche modo stonare con le altre due.
Il Magistrato, un uomo dalla corporatura robusta e dal portamento nobile, ascoltò con pazienza l’appassionato appello di Ikaris per la liberazione di Kano. Quando il dragonborn ebbe finito, l’uomo annuì lentamente, il suo volto che rivelava comprensione ma anche inflessibilità.
«Sento il peso delle tue parole, Ikaris,» rispose con voce calma e autorevole. «La tua richiesta esprime una compassione e una saggezza che sono rare in questi tempi difficili. Tuttavia, la legge esige che le procedure siano rispettate. Non posso fare eccezioni, neanche per casi tanto toccanti come il tuo.»
Il magistrato si sistemò la toga e continuò: «Ti invito a passare nel mio ufficio durante l’orario di lavoro. Ho piena fiducia che riusciremo a trovare una soluzione appropriata alla tua richiesta.»
Dopo aver pronunciato queste parole, si voltò verso l’uomo biondo al suo fianco. «Generale Venitas,» disse, «mi è giunto all’orecchio di un ristorante in città che serve una squisita carne di bovino importata da oriente. Una prelibatezza che, ne sono certo, non avresti l’opportunità di gustare nei ristoranti di Sol Rom, nella Repubblica di Solastra. Che ne dici di una cena all’aperto stasera?»
Ikaris, riconoscendo che insistere sarebbe stato inutile, inchinò rispettosamente il capo e si allontanò, la frustrazione che bruciava dentro di lui come un fuoco lento. Solastra – lo stesso luogo menzionato da Anastarius ad Asterion. Una coincidenza? Difficilmente, in tempi come questi.
Con un ultimo sguardo all’insolito gruppo, il dragonborn si diresse verso la locanda di Thordek. Era tempo di riunirsi con Geeno e Asterion. Avevano molto di cui parlare.
PARTE VI: CONVERGENZE
La sera era calata completamente su Arkanum quando i tre membri della Compagnia del Fardello si ritrovarono nella loro stanza alla locanda di Thordek. L’aria era carica di tensione e di scoperte, ciascuno con notizie che potevano cambiare il corso della loro missione.
Seduti attorno a un tavolo rotondo, alla luce tremolante di candele che proiettavano ombre danzanti sulle pareti, i tre si scambiarono quanto avevano appreso durante la giornata.
Asterion parlò per primo, descrivendo il suo incontro con Anastarius e le informazioni sui tatuaggi magici del Monastero dell’Alba Dorata, che potevano offrire protezione contro gli incantesimi di charme.
«C’è di più,» aggiunse, gli occhi viola che brillavano nella penombra. «Anastarius ha menzionato il Consolato di Solastra come possibile fonte di conoscenze contro i non-morti. A quanto pare, venti anni fa hanno respinto un potente necromante dai territori meridionali.»
Ikaris si raddrizzò, improvvisamente attento. «Solastra? L’ho sentito nominare oggi. Il Magistrato ha invitato a cena un certo Generale Venitas, menzionando Sol Rom nella Repubblica di Solastra.»
Fu allora il turno di Geeno di condividere le sue scoperte. Con voce bassa ma intensa, il leonin parlò degli horcrux – i frammenti dell’anima di Putin, sigillati in oggetti di potere.
«Secondo il testo che ho trovato,» spiegò, «finché anche solo uno di questi horcrux rimane intatto, Putin non può essere veramente distrutto. Dobbiamo trovarli tutti e sette e annientarli.»
Un silenzio pensieroso seguì queste parole, ciascuno dei tre che assimilava le implicazioni di quanto appreso.
«E c’è altro,» disse infine Ikaris, la voce che tradiva la sua angoscia. «Ho trovato Jiro oggi. Era in overdose da una droga chiamata ‘Polvere di Fata’, o più ufficialmente, ‘Esalazione di Lich’.»
Gli occhi di Asterion si spalancarono per la sorpresa. «Esalazione di Lich? Questo potrebbe essere collegato a Putin…»
«Il dottor Hoban sta facendo il possibile,» continuò Ikaris, «ma non sa se Jiro sopravviverà. E non ho avuto successo con il Magistrato riguardo a Kano.»
Geeno posò una zampa possente sulla spalla di Ikaris. «Non è colpa tua, amico mio. Jiro ha fatto le sue scelte, come tutti noi.»
«Forse,» ammise Ikaris, «ma mi chiedo se le nostre azioni non lo abbiano spinto verso quel vicolo buio.»
L’atmosfera nella stanza si fece ancora più pesante. Gli eventi delle ultime quarantotto ore avevano messo alla prova la Compagnia in modi che non avrebbero mai immaginato. Eppure, da quella prova stavano emergendo più forti, più determinati, più consapevoli.
«Allora, qual è il nostro prossimo passo?» chiese Asterion, riportando la discussione su un terreno pratico.
Ikaris rifletté per un momento. «Il torneo di Arkanum inizia tra tre giorni. Era il nostro obiettivo originale, il modo per ottenere il passaggio verso il Nuovo Mondo.»
«Ma ora sappiamo che Putin è una minaccia qui e ora,» ribatté Geeno. «E gli horcrux potrebbero essere ovunque.»
«E c’è anche Zarion,» aggiunse Asterion. «Non sappiamo dove sia, né cosa stia pianificando con gli Armamenti del Prescelto.»
La decisione che dovevano prendere era chiara ma difficile: proseguire verso il torneo come previsto, o cambiare rotta per affrontare le minacce immediate?
In quel momento, un leggero bussare alla porta interruppe le loro riflessioni. Quando Ikaris aprì, trovò Mae in piedi nel corridoio, il volto normalmente svampito ora serio e preoccupato.
«Maestro,» disse con voce quieta, «c’è una persona che chiede di voi tutti. Dice che è urgente.»
I tre si scambiarono sguardi perplessi, poi seguirono Mae al piano inferiore della locanda. Seduta a un tavolo d’angolo, con un cappuccio che le nascondeva parzialmente il viso, c’era Katia. La giovane donna sembrava esausta, con occhiaie scure che testimoniavano notti insonni, ma nei suoi occhi verdi brillava una determinazione nuova.
«Compagnia del Fardello,» li salutò mentre si avvicinavano. «Sono venuta a ringraziarvi per avermi liberata dall’influenza di Zarion, e a offrirvi informazioni che potrebbero essere cruciali.»
Geeno si sedette di fronte a lei, lo sguardo cauto. «Cosa sai di Zarion? E perché dovremmo fidarci di te, dopo quanto accaduto?»
Katia sostenne il suo sguardo senza esitazione. «Non chiedo la vostra fiducia, solo la vostra attenzione. Quello che ho da dirvi riguarda non solo Zarion, ma anche Putin, e un legame tra loro che potrebbe spiegare molto.»
Le sue parole catturarono immediatamente l’interesse della Compagnia. Ikaris fece cenno a Thordek di portare bevande per tutti, poi si rivolse a Katia con espressione seria.
«Ti ascoltiamo,» disse semplicemente.
Katia prese un profondo respiro, poi iniziò a raccontare una storia che nessuno di loro si aspettava di sentire – una storia di antichi patti, poteri proibiti, e un disegno che si estendeva ben oltre Arkanum, fino alle terre inesplorate del Nuovo Mondo.
E mentre parlava, fuori dalla finestra, nubi di tempesta si addensavano nel cielo notturno di Arkanum, un presagio dei tempi burrascosi che attendevano la Compagnia del Fardello.