L’EVASIONE DALLA PRIGIONE
PARTE I: SOTTO IL MANTO STELLATO
Il cielo notturno di Arkanum si stendeva come un mantello tempestato di diamanti sopra la città. La luna, una falce d’argento, versava la sua luce pallida sulla massiccia struttura di pietra grigia che dominava il quartiere settentrionale: la prigione di Arkanum. Mura spesse tre metri, guardie armate fino ai denti e una storia oscura quanto le sue celle più profonde – questo era il luogo in cui la Compagnia del Fardello aveva deciso di intrufolarsi quella notte.
A poca distanza dalle mura, sei figure si erano riunite nell’ombra di un vecchio magazzino abbandonato. Il gruppo originale – Ikaris, Asterion e Geeno – era stato affiancato da tre nuovi alleati: Mae, una giovane umana dai capelli rossi e lo sguardo perennemente distratto; Jiro, un halfling dal volto determinato e gli occhi che tradivano un passato difficile; e Kano, un mezz’orco muscoloso con cicatrici di battaglia che decoravano ogni centimetro di pelle visibile.
In mezzo a loro, avvolta nel suo caratteristico mantello blu scuro, Katia attendeva. Le sue trecce castane ondeggiavano nella brezza notturna quando si scoprì leggermente il capo per parlare.
«È giunto il momento,» disse, la voce un sussurro carico di emozione. «Questa notte Zarion sarà finalmente libero.»
Ikaris, le scaglie dorate che riflettevano debolmente la luce lunare, incrociò le braccia sul petto. «Prima di procedere, vogliamo la verità completa, Katia,» disse, la voce calma ma ferma. «Chi è realmente Zarion per te? E perché rischiamo tanto per liberarlo?»
Gli occhi verdi di Katia sembrarono brillare più intensamente nell’oscurità. Esitò un momento, poi sospirò, come se avesse preso una decisione difficile.
«Zarion non è solo un prigioniero politico,» ammise, la voce che tremava leggermente. «È l’uomo che amo. Ma è anche molto di più: è il custode di antichi e potenti artefatti, conosciuti come gli Armamenti del Prescelto. Oggetti di immenso potere che potrebbero essere decisivi nella lotta contro esseri come Putin.»
A questa rivelazione, Geeno si irrigidì visibilmente. Il pelo bianco del leonin sembrava quasi brillare sotto la luce della luna, mentre stringeva con maggiore forza la lancia.
«Perché non ce l’hai detto prima?» ringhiò, la voce bassa ma carica di sospetto.
Katia sostenne il suo sguardo. «Perché temevo che non mi avreste aiutata se aveste saputo che le mie motivazioni erano in parte personali. Ma vi giuro, Zarion è innocente. È stato imprigionato perché volevano gli artefatti, ma lui ha sempre rifiutato di rivelarli.»
Asterion, che fino a quel momento aveva osservato in silenzio, intervenne. «Gli Armamenti del Prescelto sono leggende antiche,» mormorò, gli occhi viola che tradivano la sua curiosità accademica. «Si dice che siano stati forgiati agli albori dei tempi, strumenti di potere destinati a chi avrebbe unito i regni divisi.»
«E Zarion li possiede?» chiese Ikaris, scettico.
«Non tutti,» rispose Katia. «Ma ne è il custode di alcuni, sì. Ed è per questo che non possiamo permettere che resti prigioniero un giorno di più.»
Un silenzio carico di tensione seguì queste parole. Infine, Ikaris annuì lentamente.
«Molto bene,» disse. «Ma se questa è una trappola, Katia, sappi che la Compagnia del Fardello non è facile da ingannare.»
Katia annuì con espressione seria. «Vi assicuro che ogni parola che ho pronunciato è vera.»
Mentre gli altri sei si avvicinavano, Ikaris iniziò a spiegare il piano che aveva elaborato. Da una sacca estrasse piccole fiale contenenti un liquido traslucido.
«Pozioni di invisibilità,» spiegò, distribuendone tre. «L’effetto dura dieci minuti, non un secondo di più. Io, Geeno e Asterion entreremo con Katia. Il resto di voi attenderà qui. Se non ricevetete alcun segnale entro dieci minuti dall’ingresso di Katia, create una distrazione.»
Porse a Jiro, Kano e Mae alcuni oggetti improvvisati: bottiglie riempite con olio infiammabile e stracci che fungevano da miccia.
«Rudimentali, ma efficaci,» commentò con un lieve sorriso. «Un fuoco attirerà le guardie abbastanza a lungo da darci una possibilità, se necessario.»
Con il piano stabilito, il gruppo si avvicinò al cancello principale della prigione. Katia trasse un profondo respiro, raddrizzò le spalle e avanzò verso le due guardie che sorvegliavano l’ingresso. Dietro di lei, invisibili agli occhi comuni, Ikaris, Geeno e Asterion la seguivano come ombre silenziose.
PARTE II: INFILTRAZIONE
«Sono qui per vedere mio padre,» disse Katia alle guardie, il tono sicuro ma rispettoso.
Le guardie si scambiarono uno sguardo. La più anziana – un uomo con una cicatrice che gli attraversava il viso dall’occhio destro alla mascella – annuì lentamente.
«Certo, signorina Katia,» rispose. «Il Direttore ci ha avvisati che sareste potuta venire. Prego, entrate.»
Mentre Katia passava il cancello, Ikaris, Geeno e Asterion scivolarono silenziosamente alle sue spalle, attenti a non rivelare la loro presenza. La guardia più giovane sembrò notare qualcosa; si voltò leggermente, aggrottando le sopracciglia, ma dopo un momento di esitazione tornò alla sua posizione.
L’interno della prigione era un labirinto di corridoi illuminati da torce che proiettavano ombre danzanti sulle pareti di pietra. Il pavimento di lastre consumate risuonava sotto i passi di Katia, mentre i tre avventurieri invisibili si muovevano con estrema cautela dietro di lei.
Giunta a un bivio, Katia esitò.
«Devo andare nell’ufficio di mio padre,» sussurrò, fingendo di sistemare una ciocca di capelli per nascondere il movimento delle labbra. «Asterion, lo spogliatoio delle guardie è in quella direzione. Troverai le uniformi.»
Asterion si separò dal gruppo, muovendosi silenziosamente lungo il corridoio indicato. Dopo alcuni minuti di cauta esplorazione, trovò la porta dello spogliatoio. La aprì lentamente, facendo attenzione a non produrre alcun rumore.
All’interno, la scena lo colse di sorpresa. Due guardie erano presenti: un nano completamente nudo che si pavoneggiava davanti a uno specchio, e un umano che lo osservava con un misto di invidia e ammirazione. La conversazione tra i due verteva sulle dimensioni particolarmente generose dell’anatomia del nano, un argomento che sembrava assorbire completamente la loro attenzione.
«Davvero impressionante per un nano,» stava dicendo l’umano, mentre il nano gonfiava il petto con orgoglio.
«E questo è solo in condizioni normali,» rispose il nano con un ghigno. «Dovresti vederlo quando sono in compagnia femminile.»
Asterion rimase immobile, trattenendo il respiro. La peculiare situazione avrebbe potuto essere comica in altre circostanze, ma al momento rappresentava solo un ostacolo al suo compito.
Finalmente, dopo quella che sembrò un’eternità, i due uscirono, ancora impegnati nella loro bizzarra discussione. Non appena la porta si chiuse, Asterion si mosse rapidamente verso gli armadietti. Trovò un’uniforme della taglia adatta e se ne appropriò. Mentre la indossava, sentì l’effetto della pozione di invisibilità svanire – i dieci minuti erano scaduti.
Ora visibile, ma travestito da guardia, Asterion si diresse verso l’ufficio del Direttore, dove sperava di ricongiungersi con gli altri.
Nel frattempo, Katia aveva condotto Ikaris e Geeno all’ufficio di suo padre. I due avventurieri invisibili si posizionarono in angoli opposti della stanza, mentre Katia si sedeva di fronte alla scrivania.
Il Direttore della prigione – un uomo alto e magro con capelli brizzolati tagliati militarmente e occhi grigi come l’acciaio – entrò poco dopo. Il suo volto era una maschera di contenuta frustrazione quando vide la figlia.
«Katia,» disse, la voce controllata ma tesa. «Cosa ti porta qui a quest’ora?»
«Voglio parlare di Zarion,» rispose lei, direttamente.
Il volto dell’uomo si indurì. «Ne abbiamo già discusso troppe volte.»
«È innocente, padre!» insistette Katia, alzandosi in piedi. «Sai bene che le accuse contro di lui sono false!»
«Quello che so,» rispose l’uomo, la voce che si abbassava pericolosamente, «è che quell’uomo ti ha fatto qualcosa. Ha manipolato la tua mente, Katia. Non sei più te stessa da quando lo hai incontrato.»
La discussione continuò, accesa e carica di emozioni nascoste. Mentre padre e figlia discutevano, Ikaris notò una chiave appesa a un gancio accanto alla porta – un grosso oggetto di metallo che sembrava importante. Con estrema cautela, si avvicinò e la prese, nascondendola nel suo vestito.
Geeno, dall’altra parte della stanza, aveva individuato una mappa appesa al muro. Sembrava essere la planimetria della prigione, con chiari segni che indicavano le celle dei prigionieri.
La discussione raggiunse l’apice quando il padre di Katia batté un pugno sulla scrivania.
«Basta!» esclamò. «Non un’altra parola su quell’uomo. Non capisco cosa ti abbia fatto, ma giuro che lo scoprirò.»
In quel momento, un boato risuonò attraverso la prigione, seguito da grida allarmate. Il Direttore si voltò bruscamente.
«Cosa accade ora?» mormorò, dirigendosi rapidamente verso la porta. «Katia, resta qui. Tornerò presto.»
Non appena la porta si chiuse, Ikaris e Geeno tornarono visibili – l’effetto della pozione era terminato. Katia li guardò con occhi spalancati.
«Avete trovato qualcosa?» chiese, ansiosa.
Ikaris mostrò la chiave. «Credo sia una chiave universale per le celle.»
«E io ho memorizzato la mappa,» aggiunse Geeno. «So dove si trova la cella di Zarion.»
In quel preciso momento, la porta si aprì di nuovo, rivelando Asterion nella sua uniforme da guardia.
«Dobbiamo muoverci,» disse urgentemente. «Kano ha iniziato la distrazione. Metà delle guardie si stanno dirigendo verso il cortile esterno.»
Katia annuì, determinata. «Andiamo. È il momento di liberare Zarion.»
PARTE III: LA LIBERAZIONE
Il cortile della prigione era avvolto nel caos. Kano, con l’impulsività che lo caratterizzava, non si era limitato a una semplice distrazione: aveva scagliato uno dei rudimentali molotov contro un mucchio di casse di legno, creando un falò improvvisato che ora illuminava la notte con fiamme alte due metri. Le guardie correvano disorganizzate, alcune cercando acqua, altre tentando di contenere il panico che si era diffuso tra i prigionieri i cui blocchi celle davano sul cortile.
All’interno, la Compagnia del Fardello si muoveva rapidamente attraverso corridoi ora quasi deserti. Geeno guidava il gruppo, la sua memoria fotografica della mappa che si rivelava inestimabile. Asterion, nel suo travestimento, camminava con sicurezza, come se appartenesse a quel luogo, pronto a fornire una scusa se fossero stati fermati.
Ikaris e Katia seguivano a breve distanza, attenti a ogni suono o movimento sospetto. Mentre attraversavano l’ala est della prigione, passando vicino alle celle di massima sicurezza, una voce li fermò.
«Tu!» sibilò un prigioniero dalla sua cella, gli occhi fissi su Ikaris. «Dragonborn! Ti vedo, sai? La tua magia non può nasconderti ai miei occhi.»
Il gruppo si immobilizzò. Il prigioniero – un elfo dall’aspetto emaciato ma con occhi che brillavano di un’intelligenza innaturale – premette il viso contro le sbarre.
«Liberami,» implorò. «So cose… cose che potrebbero esservi utili. Cose su Putin…»
Ikaris e Geeno si scambiarono uno sguardo allarmato. Come poteva questo prigioniero conoscere il lich?
«Non abbiamo tempo,» sussurrò Katia con urgenza. «La cella di Zarion è poco più avanti.»
A malincuore, il gruppo proseguì, lasciando l’elfo a imprecare silenziosamente dietro di loro. Finalmente, raggiunsero la cella indicata sulla mappa.
All’interno, seduto su una branda spartana con le mani incatenate davanti a sé, c’era un uomo. Alto e snello, con capelli neri che gli scendevano fino alle spalle e occhi di un blu così intenso da sembrare innaturale. Quando vide Katia, il suo volto si illuminò.
«Sapevo che saresti venuta,» disse, la voce melodiosa e ricca come velluto. «Il mio cuore non ha mai dubitato.»
Ikaris inserì la chiave nella serratura, che si aprì con un click soddisfacente. Zarion si alzò, estendendo le mani incatenate verso di loro.
«Potreste…?» chiese, indicando le manette.
Geeno esitò. «Prima usciamo di qui,» disse con fermezza. «Poi vedremo per quelle.»
Un’ombra di qualcosa – irritazione? delusione? – attraversò il volto di Zarion, ma fu così rapida che quasi non la notarono. Annuì con un sorriso comprensivo.
«Naturalmente,» concesse. «La prudenza è sempre saggio.»
Mentre si preparavano ad uscire, Asterion ebbe un’idea. «Se creiamo abbastanza caos,» suggerì, «potremmo coprire la nostra fuga più efficacemente.»
Ikaris captò immediatamente. Con rapida decisione, iniziò ad aprire ogni cella che incontravano lungo il percorso. I prigionieri, increduli della loro improvvisa libertà, non esitarono a cogliere l’opportunità, riversandosi nei corridoi con grida di giubilo e vendetta.
PARTE IV: LA VERA NATURA DI ZARION
La confusione che seguì fu straordinaria. Prigionieri correvano in tutte le direzioni, alcuni cercando direttamente l’uscita, altri fermandosi a regolare vecchi conti con guardie isolate. L’allarme della prigione iniziò a suonare, un ululato straziante che riempiva l’aria già carica di tensione.
Il gruppo raggiunse l’atrio principale, l’ultimo ostacolo prima della libertà. Ma qui trovarono un contingente di guardie pronte ad affrontarli, guidate dal nano che Asterion aveva incontrato nello spogliatoio, ora completamente vestito e armato di una pesante ascia.
«Fermi!» tuonò il nano, puntando l’ascia verso di loro. «Un altro passo e sarà l’ultimo!»
Ikaris non si lasciò intimidire. Con la velocità di un cobra, si lanciò in avanti, le mani che si muovevano in una danza letale. Due guardie caddero prima ancora di rendersi conto di essere state colpite.
Geeno entrò nella mischia subito dopo, la lancia che brillava di energia sacra mentre trafiggeva lo scudo di un terzo avversario. Asterion, abbandonato ormai il travestimento, estrasse la sua spada, che iniziò a brillare di energia arcana blu mentre eseguiva i movimenti fluidi del Laughing Shadow.
Zarion e Katia si ritirarono in un angolo, mentre la battaglia infuriava. Il combattimento era feroce ma breve – la Compagnia del Fardello aveva affrontato pericoli ben maggiori ed era preparata. Tuttavia, il nano si rivelò un avversario formidabile. Con un colpo fortunato della sua ascia, riuscì a superare la guardia di Asterion, colpendolo al fianco. Il mezzelfo cadde a terra, il sangue che iniziava a macchiare il pavimento.
Vedendo il compagno caduto, Ikaris prese una decisione istantanea.
«Liberate Zarion!» gridò a Geeno. «Abbiamo bisogno del suo aiuto!»
Geeno esitò solo un istante, poi usò la punta della sua lancia per forzare la serratura delle manette di Zarion. Con un click, caddero a terra.
Ciò che accadde dopo avvenne così rapidamente che gli avventurieri faticarono a comprenderlo. Zarion sollevò lentamente il braccio destro, ora libero. La manica della sua tunica scivolò indietro, rivelando una pelle di un viola intenso. Al centro del palmo, incredibilmente, si apriva una bocca – completa di denti e lingua.
La bocca si contorse in quello che sembrava un sorriso inquietante, poi pronunciò una singola parola in una lingua che nessuno dei presenti aveva mai udito prima. L’aria sembrò condensarsi, vibrare, poi esplodere in un lampo di luce accecante.
Quando la loro vista si schiarì, tutte le guardie giacevano immobili sul pavimento. Non sembravano ferite, ma erano completamente paralizzate.
«Andiamo,» disse Zarion con calma, come se nulla di straordinario fosse appena accaduto. «L’effetto non durerà a lungo.»
Geeno si chinò rapidamente su Asterion, somministrandogli una pozione curativa che portò con sé. Il mezzelfo riprese conoscenza quasi immediatamente, la ferita che si chiudeva sotto i loro occhi.
Il gruppo si diresse verso l’uscita, ma nel corridoio finale si trovarono faccia a faccia con il padre di Katia. L’uomo, vedendo la figlia con i prigionieri, sbiancò.
«Katia…» mormorò, incredulo. «Cosa hai fatto?»
Prima che Katia potesse rispondere, Zarion si avvicinò al Direttore. La bocca sul suo palmo si aprì nuovamente, e sussurrò qualcosa che gli altri non riuscirono a udire. Immediatamente, il volto del padre di Katia divenne vuoto, inespressivo. Si fece da parte meccanicamente, permettendo loro di passare.
«Cosa gli hai fatto?» chiese Ikaris, sospettoso.
«Solo un piccolo suggerimento,» rispose Zarion con un sorriso enigmatico. «Nulla di permanente, vi assicuro.»
Utilizzando lo stesso inquietante potere, Zarion paralizzò o confuse ogni guardia che incontrarono lungo il percorso verso la libertà. Finalmente, emersero nell’aria notturna di Arkanum, ora piena delle grida e del caos provocati dalla fuga di massa dei prigionieri.
Jiro, Mae e Kano li attendevano al punto d’incontro stabilito, i volti tesi che si rilassarono visibilmente vedendoli emergere incolumi.
«Ce l’avete fatta!» esclamò Mae, battendo le mani con entusiasmo infantile.
Zarion si voltò verso Katia, prendendole le mani nelle sue. «Mia cara, hai rischiato tutto per me. Non lo dimenticherò mai.»
Poi, con un movimento rapido, passò il palmo viola davanti al volto di Katia. Gli occhi della giovane donna divennero vitrei, proprio come quelli di suo padre.
«Aspettami qui,» ordinò Zarion. «Tornerò presto.»
Prima che la Compagnia potesse reagire, Zarion si voltò verso di loro. «Vi ringrazio per il vostro aiuto,» disse con un inchino elegante. «Ma temo che le nostre strade debbano dividersi qui.»
Con un movimento che nessuno di loro riuscì a seguire, Zarion scomparve tra le ombre delle strade di Arkanum, lasciandoli con Katia immobilizzata e una crescente sensazione di essere stati usati.
PARTE V: LE CONSEGUENZE
Il silenzio che seguì la fuga di Zarion fu pesante come piombo. La Compagnia del Fardello si guardò l’un l’altro, la realizzazione di ciò che era appena accaduto che si faceva strada lentamente nelle loro menti.
«Ci ha ingannati,» mormorò Geeno, la voce carica di rabbia repressa. «Tutto questo tempo…»
Asterion, ancora indebolito dalla ferita nonostante la pozione curativa, scosse la testa. «Non credo che Katia fosse consapevole. Guardate i suoi occhi. È sotto lo stesso controllo che ha usato sugli altri.»
Ikaris si avvicinò a Katia, esaminandola attentamente. I suoi occhi verdi, solitamente vivaci, erano ora vuoti, fissi in un punto indefinito davanti a sé.
«Katia?» chiamò gentilmente. «Puoi sentirmi?»
Nessuna risposta. La giovane donna rimase immobile, come una statua.
«Dobbiamo portarla via di qui,» disse Ikaris, prendendo una decisione. «Le strade non sono sicure, e presto l’intera città sarà in allerta.»
Mentre Ikaris parlava, Jiro si era allontanato leggermente dal gruppo. Il suo volto era una maschera di delusione e rabbia repressa. Quando finalmente si voltò verso di loro, i suoi occhi erano duri come pietre.
«Non posso farne parte,» disse semplicemente, lo sguardo che si spostava da un membro del Cobra Kai all’altro. «Non così.»
Senza attendere risposta, Jiro si voltò e si allontanò, le spalle rigide e la testa alta. Il suo allontanamento era più di una semplice separazione fisica – era un rifiuto dei metodi e delle scelte che avevano portato a questo risultato.
Il gruppo rimase in silenzio, guardando l’halfling allontanarsi. Mae, con lo sguardo perplesso che le era caratteristico, si avvicinò a Ikaris.
«Tornerà, vero?» chiese, la voce incerta.
Ikaris non rispose. Nel suo cuore, sapeva che le azioni di quella notte avevano scavato un solco profondo, forse insormontabile, tra loro e Jiro. Guardando Mae, si rese conto che, della sua scuola una volta fiorente, rimaneva solo lei – fedele ma innocente, inconsapevole della gravità di ciò che era appena accaduto.
Con Katia ancora in trance, la Compagnia iniziò a muoversi verso la taverna di Thordek, l’unico luogo sicuro che conoscevano in quella città sempre più ostile. Mentre attraversavano le strade, furono testimoni del caos che la loro azione aveva scatenato.
Ex prigionieri vagavano liberamente, alcuni impegnati in atti di vendetta o semplice vandalismo. Un gruppo si era accampato presso la fontana nella piazza principale, cantando canzoni di ribellione e bevendo liquore rubato. Altri avevano dato fuoco a carriaggi, le fiamme che illuminavano sinistramente la notte mentre ridevano della distruzione che avevano causato.
Arkanum stava subendo le conseguenze della loro decisione impulsiva. E mentre camminavano in silenzio, ciascun membro della Compagnia si chiedeva se il prezzo – i gettoni per il torneo che ora pesavano nelle loro tasche – fosse davvero valso tutto questo.
Quando finalmente raggiunsero la taverna di Thordek, il cielo iniziava a schiarirsi a est. Un nuovo giorno stava sorgendo su Arkanum, ma per la Compagnia del Fardello sembrava che le ombre della notte appena trascorsa non si sarebbero mai completamente dissipate.
Geeno, con voce grave, espresse il pensiero che tutti loro stavano reprimendo: «Abbiamo liberato qualcosa di pericoloso questa notte. E temo che dovremo affrontare le conseguenze molto prima di quanto pensiamo.»
Asterion annuì lentamente. «Putin diviso in sette aspetti, e ora Zarion con i suoi poteri inquietanti. Il Nuovo Mondo sembra sempre più lontano, mentre i problemi in questo continuano a moltiplicarsi.»
Ikaris rimase in silenzio, osservando la città che si svegliava al caos che avevano contribuito a creare. Il loro fardello era diventato ancora più pesante, e la strada davanti a loro sempre più oscura e incerta.
EPILOGO: FRANTUMI DI FIDUCIA
La taverna di Thordek era un’isola di relativa calma nel mare di caos che Arkanum era diventata. Il nano proprietario, con la sua barba intrecciata e gli occhi che avevano visto troppi inverni, serviva birra scura ai pochi avventori mattinieri con l’efficienza di chi sa che il mondo va avanti, non importa quali tragedie si verifichino.
La Compagnia del Fardello sedeva in un angolo appartato, Katia ancora in trance tra loro. Nessuno aveva molto appetito, nonostante i piatti fumanti di stufato che Thordek aveva posto davanti a loro.
«Dobbiamo decidere cosa fare di lei,» disse finalmente Geeno, indicando Katia con un cenno del capo.
«E cosa fare dopo,» aggiunse Asterion. «Il torneo inizia tra tre giorni. Dobbiamo decidere se parteciparvi ancora, considerando… tutto.»
Ikaris, che aveva osservato in silenzio la città dalla piccola finestra accanto al loro tavolo, si voltò finalmente.
«Zarion è una minaccia,» disse con voce ferma. «Forse tanto quanto Putin. Ma non possiamo affrontarlo ora, non sappiamo dove sia andato o cosa intenda fare.»
Fece una pausa, guardando ciascuno dei suoi compagni. «Il torneo resta la nostra migliore possibilità di raggiungere il Nuovo Mondo. E forse là, lontano da qui, troveremo risposte ai misteri che abbiamo incontrato. O almeno un nuovo inizio.»
Mae, che fino a quel momento era rimasta insolitamente silenziosa, alzò timidamente la mano come una scolara. «E Jiro?» chiese. «Non dovremmo aspettarlo?»
Un silenzio carico di significato seguì la sua domanda. Fu Kano, il mezz’orco che aveva osservato la scena con distaccata saggezza, a rispondere.
«Jiro ha fatto la sua scelta,» disse semplicemente. «E noi dobbiamo rispettarla.»
In quel momento, Katia emise un gemito leggero. I suoi occhi iniziarono a sbattere rapidamente, come se stesse emergendo da un sonno profondo. Quando finalmente si concentrarono, il terrore li riempì immediatamente.
«Zarion!» esclamò, guardandosi intorno freneticamente. «Dov’è? Cosa è successo?»
La Compagnia si scambiò sguardi preoccupati. Come spiegare a questa giovane donna che l’uomo che amava l’aveva usata, manipolata, e poi abbandonata come un oggetto senza valore?
Fu Asterion a parlare, la sua voce gentile ma ferma. «Katia, c’è molto di cui dobbiamo parlare. Ma prima, devi dirci tutto ciò che sai su Zarion. Chi è realmente? E cosa sono questi Armamenti del Prescelto di cui ci hai parlato?»
Gli occhi di Katia si riempirono di lacrime, ma in essi c’era anche una determinazione che non avevano visto prima.
«Vi dirò tutto,» promise. «Ma dovete capire… io stessa non so quanto di ciò che credevo fosse vero e quanto fosse una manipolazione.»
Mentre Katia iniziava il suo racconto, fuori dalla taverna il caos continuava a diffondersi per le strade di Arkanum. In quella città in tumulto, da qualche parte, Zarion proseguiva il suo misterioso piano. E altrove, gli altri sei aspetti di Putin attendevano, pazienti come solo l’immortalità può insegnare a essere.
Per la Compagnia del Fardello, il percorso verso il torneo era ora lastricato non solo di sfide fisiche, ma anche di dubbi morali e fratture nella fiducia. Un fardello che cresceva ad ogni passo, un peso che avrebbe messo alla prova non solo la loro forza, ma anche – e soprattutto – la loro anima.
La città di Arkanum sembrava riflettersi nel loro stato d’animo: frammentata, caotica, alla ricerca di un ordine nuovo dopo che il vecchio era stato infranto. E mentre ascoltavano il racconto di Katia, gli avventurieri non potevano fare a meno di chiedersi se, nella loro ricerca di risposte, non avessero semplicemente creato domande ancora più oscure.
Nel cielo sopra la taverna, nubi di tempesta si stavano addensando. Un presagio, forse, di ciò che li attendeva.